Perché non si può uscire di casa?
Perché non andiamo a scuola?
Perché non posso vedere i miei amici?
Queste le domande frequenti che sono state sottoposte ai genitori da parte dei loro bambini durante il periodo di prima allerta pandemica e ora sono tornate, seppur qualcosa sia cambiato, nei colori delle varie regioni e nella – perlomeno tentata – riapertura delle scuole.
All’ondata di notizie sul coronavirus, già nel corso della cosiddetta prima fase, sono stati esposti inevitabilmente anche i bambini, ricettivi fin dalla tenera età a cogliere le sfumature emotive all’interno del proprio nucleo familiare di riferimento. Spiegare ai bambini cosa stava e sta accadendo e rispondere alle loro domande, filtrando le informazioni a seconda dell’età, è risultato e risulta tuttora essenziale, infatti, per prevenire i più variegati stati di confusione e sentimenti di paura o disagio.
Come hanno vissuto i bambini il primo lockdown?
I bambini si sono ritrovati da un momento all’altro a stravolgere le loro routine quotidiane (come la bambina che al mattino continuava a indossare lo zaino pronta per andare a scuola), a vivere il restante anno scolastico una “scuola sospesa”, a interrompere le attività sportive e le uscite al parco, a convivere con la noia, a vedere nonni, compagni e insegnanti solo “a metà” davanti a uno schermo. Racchiuso dentro le mura di casa, solo un forte desiderio di ritornare alla vita di prima. Un breve, brevissimo, ritorno c’è stato questa estate, con l’allentamento delle misure di sicurezza e la timida riapertura delle scuole in settembre, ma ora la maggior parte dei bambini si ritrovano nella stessa situazione provata lo scorso marzo.
Quale il prezzo del confinamento per i bambini?
Il prezzo che hanno pagato - e che in parte pagano ancora - i bambini durante il lockdown, è stato particolarmente alto, con risvolti psicologici considerevoli. La sospensione delle attività didattiche in presenza ha, senza preavviso, interrotto la partecipazione ad un contesto socio-educativo di fondamentale rilevanza. I bambini durante il lockdown hanno infatti vissuto una deprivazione sociale e ludica non indifferente.
Lo psicologo statunitense Abraham Maslow ha proposto nel 1954 la celebre “piramide dei bisogni”, nella quale ha elencato una serie di bisogni disposti gerarchicamente. Scalando la piramide, una volta soddisfatti i bisogni fisiologici e di sicurezza, tendono a manifestarsi come fondamentali i bisogni di appartenenza, ovvero il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, la necessità di stare insieme, confrontarsi, condividere esperienze e sentirsi socialmente accettati.
Tutti bisogni indubbiamente rimasti inappagati durante il periodo di confinamento sociale.
Di sicuro non è stato attraverso uno schermo o la prolungata esposizione al digitale che questi bisogni hanno trovato soddisfacimento. Ai bambini manca la scuola, la presenza dal vivo dei compagni e degli amici con cui confrontarsi/scontrarsi in maniera diretta, esperienze fondamentali per lo sviluppo emotivo e l’acquisizione di competenze socio-relazionali.
Molti studi, negli ultimi mesi, si sono occupati di indagare quali potrebbero essere le conseguenze psicologiche del lockdown nei bambini. Dall’indagine promossa dall’Istituto Gaslini di Genova, atta a individuare preventivamente segnali di disagio comparsi o accentuati dall’emergenza Covid-19, è emerso che nel 65% dei bambini di età inferiore ai 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore ai 6 anni sono già insorte problematiche comportamentali e sintomi legati alla regressione. Riguardo ai bambini con età inferiore ai 6 anni sono state riscontrate frequentemente manifestazioni di disagio, legate alla situazione stressante vissuta, come un’accentuata irritabilità, alterazione dei ritmi sonno-veglia, disturbi d’ansia (per esempio quella da separazione).
Dopo una prima fase di confinamento forzato che ha portato i bambini a un repentino adattamento alla situazione di emergenza, si è chiesto loro di riadattarsi alla “nuova” normalità e ora di nuovo al confinamento, seppur in modalità differenti rispetto al primo. I bambini hanno dovuto affrontare il distacco dai genitori con i quali hanno vissuto una convivenza intensa negli ultimi mesi e ora ritornano a quella dimensione. Non è difficile immaginare che alcuni bambini possano avere vissuto con disagio la separazione dalle figure di riferimento, sviluppando eccessiva paura e ansia per il distacco. È necessario che i genitori si rendano consapevoli di questa possibilità.
Cosa possono fare dunque i genitori?
Tre i punti fondamentali per aiutare i propri bambini a superare questo particolare momento.
1. Mostrarsi disponibili ad accettare e accogliere, senza disconoscere, gli stati emotivi e le preoccupazioni dei figli, ponendosi in una posizione di ascolto attivo ed empatico. Essere empatici significa riconoscere e non liquidare gli stati emotivi del bambino, inviare il messaggio che i suoi sentimenti sono i benvenuti, anche quelli più scomodi.
2. Accompagnare gradualmente i bambini alla ripresa della normalità e della quotidianità.
3. Aiutarli ad acquisire consapevolezza del fatto che anche le battaglie che richiedono grande impegno e fatica, come quella contro il coronavirus, si possono vincere. Questo ultimo punto è molto importante per promuovere il senso di sicurezza e la stima di sé.
E la scuola?
A settembre un inizio in salita quello della scuola che, in questo periodo già emotivamente connotato, ha dovuto fare i conti con le solite cattedre vuote e le preoccupazioni legate alla mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno alla classe dove sono presenti studenti con disabilità. La speranza è sempre quella di una scuola che sia “attiva”, “per tutti”, che non lasci indietro nessuno, promuovendo anche l’inclusione e il diritto allo studio degli alunni con Bisogni educativi speciali, in particolar modo quelli con disabilità. Tuttavia, su questo tema così attuale la scuola deve ancora compiere grossi passi in avanti. Si evince, oggi come ieri, la necessità di dare sempre più spazio (uno spazio sia fisico che psicologico), nella scuola di oggi, agli alunni con disabilità. L’ideale è evitare il rischio che la scuola diventi, utilizzando le parole di don Lorenzo Milani, “un ospedale che cura i sani e respinge i malati […]. Uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”.
Tema scottante per molti genitori e docenti, continua a essere anche la questione della ripresa scolastica dal vivo, soprattutto a fronte del nuovo stop, in alcuni casi non senza strascichi e polemiche.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla ripresa della scuola?
Non è un’impresa facile, dunque, per la scuola, che per il futuro dovrà necessariamente elaborare strategie di riavvio diverse da quelle messe in atto a settembre, il tutto in un contesto connotato da tante ipotesi e poche certezze. Un’attenzione particolare va data all’educazione e la cura nella prima infanzia, coniugando il rispetto delle prescrizioni sanitarie con le esigenze dei più piccoli e della specifica fase evolutiva.
Bisogna richiamare l’attenzione anche su quei bambini che si trovano coinvolti in momenti delicati, come separazioni e divorzi, o processi di elaborazione del lutto.
Ai docenti impegnati nella ripresa della scuola va dunque l’importante compito di ridefinire le priorità, aiutando innanzitutto i bambini a dare un significato a quanto vissuto e a ritessere la trama sociale improvvisamente interrotta dalla situazione di emergenza.
Si può fare.
Sarà un lungo percorso, ma si può fare.
Dott.ssa Emanuela Rita Giardina, psicologa
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